Differenza tra indice glicemico e carico glicemico
Che cos’è l’indice glicemico (IG) di un alimento?
L’indice glicemicoè un parametro elaborato agli inizi degli anni ’80 dal prof. Jenkins dell’Università di Toronto che classifica gli alimenti in base alla loro influenza sul livello di glucosio nel sangue (glicemia).
Per molto tempo in passato si è ritenuto che tutti i carboidrati semplici (dolci, bibite, succhi….) fossero uguali e facessero salire rapidamente il glucosio nel sangue; viceversa si riteneva che tutti i carboidrati complessi (verdure, legumi, cereali integrali etc) lo facessero salire lentamente e in modo graduale. Fortunatamente gli studi più recenti hanno ampiamente documentato che non è sempre così: per quanto riguarda i carboidrati semplici, per esempio, si è scoperto che il pane bianco fa salire più rapidamente il glucosio nel sangue rispetto a un gelato.
Da dieci anni a questa parte molti studi scientifici hanno dimostrato direttamente o indirettamente l’interesse dell’indice glicemico nella lotta contro l’obesità ma anche nella prevenzione del diabete e delle malattie cardiovascolari.
Come si misura l’IG dei vari alimenti?
Tecnicamente si misura valutando l’incremento della glicemia quando si assumono 50 g di glucosio. L’entità della risposta viene espressa in termini percentuali medi rispetto al glucosio (oggi si usa anche il pane bianco), che viene preso come punto di riferimento stabilendone un valore pari a 100 nella scala dell’indice glicemico. Esistono inoltre delle tabelle di classificazione arbitraria in IG elevato, intermedio e basso che secondo la maggior parte degli autori è fissata nei range di valori indicati nella tabella sottostante. I cibi che fanno salire il glucosio rapidamente hanno un IG alto, quelli che lo fanno salire gradualmente hanno un IG basso.
Fonte: M Szwillus, D Fritzsche, Mangiare sano con il diabete, Tecniche Nuove, 2010
Perché è importante l’IG per una persona diabetica?
L’Indice Glicemico è un valore importante per chi soffre di diabete, considerato che deve evitare rapidi innalzamenti della glicemia. Seguire una dieta a base di alimenti con IG basso, per quanto possa sembrare complicato, può permettere un migliore controllo della propria glicemia. Secondo alcuni Esperti, inoltre, gli alimenti a IG più basso aiutano a dimagrire perché provocano sazietà senza bisogno di molte calorie. E sentirsi sazi è importante sia per chi ha il diabete che per chi vuole dimagrire. Alcuni alimenti con IG basso (per es. mele, latte scremato, pomodori) sono anche ipocalorici.
Da che cosa dipende l’indice glicemico?
Quando consumiamo qualche alimento che contiene carboidrati, questi passano dall’intestino al sangue e così i livelli di glucosio aumentano. L’ammontare di questo aumento dipende da diversi fattori: la composizione dell’alimento, il luogo di coltivazione e raccolta, il contenuto in amidi, proteine, fibre e grassi, la combinazione con altri alimenti, il tipo di cottura, il grado di maturazione (per es. per la frutta) sono tutti fattori che possono influenzare anche notevolmente gli effetti sulla glicemia; inoltre l’IG può presentare forti variazioni da una persona all’altra.
I valori dell’Indice Glicemico pur essendo un parametro utile soprattutto per la qualità della propria dieta, vanno considerati, tuttavia, come valori puramente indicativi perché si riferiscono sempre e solo all’alimento puro e non alla quantità effettivamente consumata (carico glicemico). Rispetto ad una dieta classica che fornisce le quantità esatte da consumare, quella dell’IG è necessariamente più imprecisa. Il consiglio è quello di usarla come ausilio complementare ad altri tipi di dieta consultandoti con il tuo medico.
La quantità consumata fa la differenza
Molti alimenti con un indice glicemico basso sono integrali e sono ricchi di nutrienti come fibre, vitamine, minerali e altri componenti importanti per la salute, perciò è consigliabile inserirne molti nel proprio menù quotidiano. Tuttavia, è importante tenere sempre d’occhio anche la quantità che si assume di ciascun alimento.
Quanto più è elevato il consumo di un alimento con basso ID,
tanto più evidente sarà l’aumento della glicemia.
Al contrario, il consumo di una quantità ridotta di un alimento
con IG elevato influenza la glicemia meno di quanto lascerebbe presumere il suo indice glicemico.
Per questo nella pratica è molto più utile il Carico Glicemico.
Che cos’è il Carico Glicemico (CG)?
Il carico glicemico valuta l’effetto sulla glicemia di un alimento basandosi sulle quantità effettivamente consumate. Di conseguenza è un parametro più adatto per calcolare il consumo quotidiano dei vari alimenti. Mentre l’Indice Glicemico è la misura della qualità dei carboidrati, il Carico Glicemico è la misura della loro quantità: tiene conto sia dell’IG che del contenuto di zuccheri per porzione consumata.
FORMULA DI CALCOLO DEL CARICO GLICEMICO
Indice glicemico
100
X
g di carboidrati a porzione
A seconda delledimensioni della porzione, infatti il carico glicemico di alimenti diversi può risultare simile nonostante l’indice glicemico degli stessi sia molto diverso. Proviamo a fare un esempio che possa chiarire meglio il concetto:
Porzione alimento
g di carboidrati
a porzione
Indice
glicemico
Carico
glicemico
100 g di pane ai cereali
43 g
45
45/100×43=19
50 g di pane bianco
24 g
70
70/100×24=17
100 g di pane bianco*
48 g
70
70/100×48=34
Fonte: M Szwillus, D Fritzsche, Mangiare sano con il diabete, Tecniche Nuove, 2010
* tipo baguette francese
Come indicato nella tabella, una porzione di pane ai cereali ha un carico glicemico di 19, mentre una porzione di pane bianco (che ha un IG molto più elevato rispetto al pane ai cereali) ha un carico glicemico simile, pari a 17. Aumentando la quantità consumata di pane bianco, a parità di IG, il carico glicemico raddoppia.
Glicemia alta o bassa: valori normali, che patologie indica e come si controlla nei diabetici
Il glucosio è il principale zucchero contenuto nel sangue, origina dal cibo ingerito ed è la principale fonte di energia dell’organismo. Il sangue trasporta il glucosio a tutte le cellule del corpo per il loro fabbisogno energetico.
La glicemia indica i livelli di glucosio nel sangue ed è solitamente al minimo la mattina, prima della colazione ed aumenta dopo i pasti per un paio di ore circa. L’assunzione di alcolici causa un incremento iniziale dello zucchero nel sangue, seguito tendenzialmente da una caduta dei valori ed anche alcuni farmaci possono aumentare o ridurre i livelli del glucosio. Livelli anomali di zucchero nel sangue possono essere indicativi di patologie, un valore persistentemente elevato viene detto iperglicemia, mentre il termine ipoglicemia identifica i livelli troppo bassi.
Quali sono i valori normali di glicemia ? 1) La glicemia a digiuno (nessuna assunzione di nutrienti per 8 ore) normale oscilla tra 70 e 99 mg/dl (è da notare che l’OMS indica ancora valori di glicemia normali fino a 110 mg/dl). 2) La glicemia due ore dopo l’assunzione di cibo è normale se inferiore a 140 mg/dl, anche se abbondanti pasti serali possono essere seguiti da valori glicemici fino a 180 mg/dl.
Come viene posta la diagnosi di diabete ?
La diagnosi di diabete viene posta in seguito ad una qualunque delle seguenti condizioni:
1) Due test glicemici a digiuno consecutivi con risultato uguale o superiore a 126 mg/dl.
2) Un qualunque rilievo glicemico maggiore di 200 mg/dl.
3) Un esame A1c con risultato uguale o maggiore a 6,5% (48 mmol/mol). L’esame A1c è un test del sangue semplice che fornisce la media trimestrale della glicemia.
4) Un test orale di tolleranza al glucosio da 75 g (la “curva da carico”) con un qualunque rilievo a due ore superiore a 200 mg/dl.
Che significa “pre diabete” ?
Il medico può parlare di pre-diabete, anche se il termine non si dovrebbe più usare perché sostituito da altra terminologia. Significa che il soggetto ha un rischio elevato di sviluppare il diabete. È possibile prevenire o ritardare l’insorgenza della malattia aumentando l’attività fisica, seguendo una dieta sana e mantenendo o perdendo peso. Il “pre diabete” si verifica in questi casi:
1) glicemia a digiuno 100-125 mg/dl (alterata glicemia a digiuno o impaired fasting glucose, IFG);
2) glicemia 2 ore dopo carico orale di glucosio compresa tra 140-199 mg/dl (ridotta tolleranza al glucosio o impaired glucose tolerance, IGT);
3) HbA1c 42-48 mmol/mol (6,00-6,49%).
Cos’è l’emoglobina glicata (A1c)?
L’esame dell’emoglobina glicata misura il livello medio di glucosio nelle ultime 10 – 12 settimane e dovrebbe essere consigliato al paziente diabetico ogni 3 – 6 mesi. I valori obiettivo di A1c sono, per molti soggetti diabetici, intorno a 6,5 – 7% (48 – 53 mmol/mol); può tuttavia dover essere più alto in alcuni pazienti, in particolare bambini e anziani. Il medico può aiutare a stabilire un valore obiettivo che sia adeguato e realistico in uno specifico individuo. I valori di HbA1c compresi tra 42 e 48 mmol/mol (6,0-6,49%) non sono legati ad una diagnosi di diabete, ma sono considerati meritevoli di attenzione in quanto associati a un elevato rischio di sviluppare la malattia. In presenza di tali condizioni viene raccomandato un attento monitoraggio, la valutazione della coesistenza di altri fattori di rischio per diabete o malattie cardiovascolari come obesità, colesterolo alto, ipertensione arteriosa, cioè dei fattori che fanno parte del quadro della sindrome metabolica.
Controllo del glucosio nell’urina
I controlli urinari del glucosio sono meno accurati di quelli ematici (cioè sul sangue) e dovranno essere adottati solo nell’impossibilità di un esame del sangue. I controlli urinari dei chetoni, però, diventano importanti quando un diabete è fuori controllo o in caso di malattia. Un soggetto con diabete dovrà imparare a eseguire la ricerca dei chetoni nell’urina.
Da cosa è causata l’ipoglicemia (basso livello di glucosio) ?
L’ipoglicemia, ossia bassi livelli di glucosio o zucchero nel sangue, è la condizione in cui il glucosio scende al di sotto dei livelli normali. I farmaci usati per la terapia del diabete (insulina, sulfoniluree e biguanidi) sono le cause più frequenti di ipoglicemia. Il rischio è maggiore in soggetti diabetici che abbiano mangiato meno, fatto più attività fisica o assunto alcolici più del solito. Tra le altre cause di ipoglicemia, ci sono insufficienza renale, alcuni tumori, malattie del fegato, l’ipotiroidismo, l’inedia (grave malnutrizione), errori congeniti del metabolismo, gravi infezioni, ipoglicemia reattiva e varie droghe tra cui l’alcool. L’ipoglicemia può insorgere in neonati altrimenti sani che non siano stati alimentati per qualche ora. Il livello di glucosio che definisce l’ipoglicemia è variabile. Nei soggetti diabetici, livelli sotto 70 mg/dl sono diagnostici. Nei neonati, livelli inferiori a 40 mg/dl o a 60 mg/dl in presenza di sintomi indicano ipoglicemia.
Nei soggetti diabetici, la prevenzione consiste nel coordinare l’assunzione di cibo, la quantità di attività fisica e l’assunzione di farmaci. Si raccomanda la misurazione della glicemia quando un soggetto avverte un abbassamento dei livelli di glucosio nel sangue. Alcuni pazienti hanno pochi sintomi premonitori di ipoglicemia; in questi soggetti, è consigliabile eseguire abitualmente misurazioni frequenti. Il trattamento dell’ipoglicemia consiste nell’assunzione di cibi ricchi di zuccheri semplici o di destrosio. In soggetti non in grado di assumere cibo per bocca, può essere di aiuto un’iniezione di glucagone.
Segni e sintomi di ipoglicemia
I sintomi e manifestazioni di ipoglicemia possono essere divisi in:
1) effetti dipendenti dagli ormoni controregolatori (epinefrina/adrenalina e glucagone) attivati dalla caduta del glucosio,
2) effetti neuroglicopenici per la riduzione del glucosio cerebrale.
In generale possono verificarsi: tremori, ansia e nervosismo, palpitazioni, tachicardia
sudorazione, sensazione di caldo (effetto muscarinico simpatico piuttosto che adrenergico), pallore, sudorazione fredda, pupille dilatate (midriasi), fame, borborigmi
nausea, vomito, fastidio addominale, cefalea, disforia, depressione, pianto, preoccupazioni esagerate, parestesie, irritabilità, aggressività, combattività, rabbia, variazioni della personalità, labilità emotiva, debolezza, apatia, letargia, fantasticherie, sonno, confusione, perdita della memoria, senso di stordimento o vertigini, delirio.
Ricerche in adulti sani mostrano che l’efficienza mentale diminuisce leggermente ma in modo misurabile quando la glicemia scende sotto 65 mg/dl.
Gravità dell’iperglicemia
Nel diabete lo scopo del trattamento è il mantenimento dei livelli di glicemia il più vicino possibile ai valori normali. In un soggetto diabetico, però, per quanta attenzione si possa fare ci sono alte probabilità di sviluppare prima o poi l’iperglicemia. È importante essere in grado di identificare e trattare l’iperglicemia, perché, se non trattata, può dare grossi problemi di salute. Episodi occasionali lievi non destano in genere preoccupazione e possono essere trattati molto facilmente o anche risolversi spontaneamente, tuttavia l’iperglicemia può diventare pericolosa se i livelli di glucosio diventano molto alti o rimangono alti per periodi protratti.
Livelli glicemici molto alti possono causare complicanze potenzialmente mortali quali:
1) chetoacidosi diabetica, una condizione causata dal fatto che il corpo deve metabolizzare grasso come fonte di energia, con possibile induzione di coma diabetico; la chetoacidosi colpisce tendenzialmente soggetti con diabete di tipo 1
2) stato iperglicemico iperosmolare, una grave disidratazione conseguente al tentativo dell’organismo di eliminare l’eccesso di zucchero; colpisce tendenzialmente individui con diabete di tipo 2
L’iperglicemia protratta costantemente per lunghi periodi (mesi o anni) può indurre danni permanenti a parti del corpo come gli occhi, i nervi, i reni e i vasi sanguigni.
In caso di frequenti iperglicemie, è necessario consultare il medico o il personale sanitario addetto alle cure del diabete. Potrà essere necessario cambiare il trattamento o lo stile di vita per mantenere i livelli di glicemia all’interno di un intervallo sicuro.
Sintomi di iperglicemia
Nei diabetici i sintomi dell’iperglicemia tendono a svilupparsi lentamente nell’arco di qualche giorno o settimane. In alcuni casi ci possono non essere sintomi finché i livelli di glucosio non raggiungono valori molto alti. Generalmente i sintomi sono: aumento della, sete e secchezza della bocca, necessità frequente di urinare, stanchezza, vista offuscata,
perdita di peso non volontaria, infezioni ricorrenti, come la candida, infezioni della vescica (cistiti) e della pelle.
Cause di aumento della glicemia
Esistono molteplici fattori che possono determinare un incremento della glicemia in soggetti diabetici, tra cui: stress, raffreddore, l’assunzione di cibo in eccesso (ad esempio merendine tra i pasti), mancanza di attività fisica, disidratazione, l’omissione di una dose di farmaco per il diabete, o l’assunzione di una dose sbagliata, il sovra-trattamento di un episodio di ipoglicemia (basso livello di glucosio), l’assunzione di determinati farmaci, come i cortisonici. Episodi occasionali di iperglicemia possono insorgere nei bambini e nei giovani durante fasi di crescita veloce.
Trattamento dell’iperglicemia
Un soggetto con diabete noto e sintomi di iperglicemia dovrà seguire le indicazioni per la riduzione della glicemia fornite dall’apposito personale sanitario. Contattare il proprio medico o tale personale in caso di dubbi. I possibili suggerimenti saranno di:
1) modificare la dieta, ad esempio evitando cibi che causino salite della glicemia, come dolci o bevande zuccherate,
2) bere molti liquidi senza zuccheri, di aiuto in caso di disidratazione,
3) fare più spesso attività fisica: attività fisiche leggere e regolari, come camminare, possono spesso ridurre la glicemia, soprattutto se contribuiscono a fare perdere peso,
4) variare la dose di insulina, nel caso si sia in trattamento; sarà il personale sanitario a dare indicazioni specifiche in merito,
5) monitorare più attentamente la glicemia, o sottoporre sangue o urina alla ricerca di sostanze dette chetoni (associati con la chetoacidosi diabetica).
Come fare per prevenire l’iperglicemia grave ?
Ci sono modi semplici per ridurre il rischio di iperglicemia grave o prolungata:
1) Fare attenzione al cibo, in particolare essere consapevoli degli effetti di merende e dolci o carboidrati sui propri livelli glicemici.
2) Seguire alla lettera il proprio programma terapeutico; ricordarsi di assumere l’insulina o altro farmaco per il diabete come prescritto dall’apposito personale sanitario.
3) Essere il più possibile attivi; l’attività fisica regolare può aiutare ad arrestare la salita della glicemia. Sarà però necessario confrontarsi con il proprio medico se in trattamento con farmaci, poiché alcune medicine possono indurre ipoglicemia se associate ad un eccesso di attività fisica.
4) Monitorare i livelli glicemici; è possibile che venga suggerito l’impiego di un dispositivo di misura per uso domestico, in modo da individuare presto un incremento della glicemia e agire di conseguenza.
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Diabete ed emoglobina glicata alta: valori normali ed IFCC
L’emoglobina glicata (emoglobina A1c, HbA1c, A1C, o Hb1c; a volte anche HbA1c) è una forma di emoglobina usata principalmente per identificare la concentrazione plasmatica media del glucosio per un lungo periodo di tempo. Viene prodotta in una reazione non-enzimatica a seguito dell’esposizione dell’emoglobina normale al glucosio plasmatico. La glicazione alta dell’emoglobina è stata associata con le malattie cardiovascolari, le nefropatie e la retinopatia del diabete mellito. Il monitoraggio dell’HbA1c nei pazienti con diabete di tipo 1 può migliorare il trattamento. L’emoglobina A1c fu separata dalle altre forme di emoglobina da Huisman e Meyering nel 1958 mediante una colonna cromatografica. Venne caratterizzata per la prima volta come glicoproteina da Bookchin e Gallop nel 1968. Il suo aumento nel diabete fu descritto per la prima volta nel 1969 da Samuel Rahbar e collaboratori La reazione che porta alla sua formazione fu caratterizzata da Bunn e i suoi collaboratori nel 1975. L’uso dell’emoglobina A1c per il monitoraggio del grado di controllo del metabolismo glucidico in pazienti diabetici fu proposto nel 1976 da Anthony Cerami, Ronald Koenig e collaboratori.
Principio
Nel normale arco di vita di 120 giorni dei globuli rossi, le molecole di glucosio reagiscono con l’emoglobina formando emoglobina glicata. In individui diabetici che hanno scarso controllo della glicemia, la quantità della emoglobina glicata che si forma è molto più elevata che nei soggetti sani o nei soggetti diabetici con un buon controllo glicemico ottenuto dalla terapia. Un aumento di emoglobina glicata all’interno dei globuli rossi, pertanto, riflette il livello medio di glucosio al quale l’emazia è stata esposta durante il suo ciclo vitale. Il dosaggio della emoglobina glicata fornisce valori indicativi dell’efficacia della terapia, monitorando la regolazione a lungo termine del glucosio sierico. Il livello di HbA1c è proporzionale alla concentrazione media del glucosio durante le quattro settimane – tre mesi precedenti. Alcuni ricercatori affermano che la porzione più grande del suo valore sia da attribuire a un periodo di tempo relativamente più breve, da due a quattro settimane. Nel 2010 l’American Diabetes Association Standards of Medical Care in Diabetes ha aggiunto l’A1c ≥ 6,5% come ulteriore criterio per la diagnosi clinica di diabete mellito, tuttavia l’argomento è controverso e questo criterio non è stato adottato universalmente.
Esistono diversi metodi di misura dell’HbA1c. I laboratori di analisi usano:
high-performance liquid chromatography (HPLC);
immunoassay.
Gli strumenti presenti nei “point of care” (come gli ambulatori medici e le farmacie) usano:
immunoassay;
boronate affinity chromatography.
Negli Stati Uniti, i test utilizzati nei “point of care” sono certificati dal National Glycohemoglobin Standardization Program (NGSP) per standardizzarli nei confronti dei risultati ottenuti dal Diabetes Control and Complications Trial (DCCT) del 1993.
Il passaggio alle unità dell’IFCC
Nell’agosto del 2008 l’American Diabetes Association (ADA), la European Association for the Study of Diabetes (EASD) e l’International Diabetes Federation (IDF) hanno stabilito che, in futuro, l’HbA1c dovrà essere refertata con le unità dell’IFCC (International Federation of Clinical Chemistry and Laboratory Medicine). La refertazione in unità IFCC è stata introdotta in Europa, fatta eccezione per il Regno Unito, nel 2003; nel Regno Unito, il 1º giugno del 2009 è stata introdotta la doppia refertazione, che rimarrà in vigore fino al 1º giugno 2011.
La conversione tra le due unità di misura può esser calcolata mediante la seguente formula: IFCC-HbA1c (mmol/mol) = [DCCT-HbA1c (%) – 2.15] × 10.929
DCCT- HbA1c
IFCC-HbA1c
(%)
(mmol/mol)
4.0
20
5.0
31
6.0
42
6.5
48
7.0
53
7.5
59
8.0
64
9.0
75
10.0
86
Interpretazione dei risultati
A partire dalla comparazione dei valori di emoglobina glicata coi valori medi di glucosio plasmatico nell’uomo, è stato possibile costruire la seguente tabella:
HbA1c (%)
Glicemia media (mmol/L)
Glicemia media (mg/dL)
5
4.5
90
6
6.7
120
7
8.3
150
8
10.0
180
9
11.6
210
10
13.3
240
11
15.0
270
12
16.7
300
Una riduzione dell’1% dei livelli di HbA1c riduce del 21% il rischio di complicanze complessive e del 21% la mortalità dovuta alle complicanze del diabete.
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Non aumentano il colesterolo, zuccheri nel sangue e pressione
Mangiare molte uova non aumenta colesterolo, zuccheri nel sangue o pressione, in persone con diabete. A 'scagionare' un alimento spesso sconsigliato per questi pazienti è una nuova ricerca sull'American Journal of Clinical Nutrition.
I ricercatori del Charles Perkins Centre, centro affiliato all'Università di Sydney, hanno diviso i 128 partecipanti con diabete o pre-diabete in due gruppi, uno con dieta ad alto consumo di uova (12 a settimana) e l'altro a basso consumo (meno di 2 a settimana). Li hanno seguiti per un totale di 12 mesi, inclusi 3 mesi di dieta durante i quali però non variava il consumo di uova.
Lo studio randomizzato ha monitorato un'ampia gamma di fattori di rischio cardiovascolari tra cui colesterolo 'cattivo', glicemia e pressione, senza trovare differenze significative tra i due gruppi. Inoltre i diversi consumi di uova non avevano alcun impatto sul peso. "La nostra ricerca indica che anche le persone con pre-diabete e diabete di tipo 2 non devono rinunciare a mangiare le uova, se questo fa parte di una dieta sana", spiega il primo autore, Nick Fuller. I risultati confermano precedenti studi di minore durata, aggiunge, e "sono importanti per via dei potenziali benefici di questo alimento, fonte di proteine e micronutrienti che fanno bene a occhi, cuore e vasi sanguigni". "Lo studio è particolarmente interessante per popolazioni nordeuropee abituate a un ampio consumo di uova a colazione", chiarisce Maria Ida Maiorino, ricercatore presso la UOC di Endocrinologia dell'Università degli Studi della Campania "Luigi Vanvitelli". "I risultati sembrano in apparente disaccordo con studi epidemiologici che mostrano una associazione lineare fra il rischio di malattie cardiovascolari ed il consumo di uova nei pazienti con diabete tipo 2".
Da sottolineare, però, prosegue l'esperta della Società Italiana di Diabetologia (Sid), "che ai pazienti inclusi nello studio veniva consigliato di consumare le uova bollite o in camicia, o anche fritte purché in olio extra-vergine di oliva. Strategie che di sicuro rendevano il regime alimentare più salutare".
L' ipoglicemia è definita da una glicemia inferiore a 55 mg/dl ma disturbi possono essere percepiti anche con valori più alti (meno di 70 mg/dl) o del tutto normali se c'è stato un rapido calo della glicemia. Essa è tanto più frequente quanto più il paziente è trattato in maniera intensiva, ciò ha obiettivi glicemici vicini alla normalità. L'ipoglicemia è frequente soprattutto nei soggetti trattati con insulina (sia tipo 1 che tipo 2) ma può realizzarsi anche in quelli che assumono farmaci orali che stimolano la secrezione insulinica, in particolare le sulfoniluree e, fra queste, quelle a più lunga durata d'azione (clorpropamide, glibenclamide).
L' ipoglicemia determina un notevole malessere al paziente e, in alcuni casi, richiede l'assistenza di altri e talora l'ospedalizzazione. Una severa ipoglicemia, nel soggetto fragile e con altre malattie, può risultare fatale. Da qui la necessità di addestrare il paziente e i suoi familiari a riconoscere l' ipoglicemia e a correggerla prontamente.
Per una corretta gestione dell' ipoglicemia è utile sapere quantosegue:
L' ipoglicemia si realizza più frequentemente durante o dopo attività fisica (anche solo una passeggiata, i lavori di casa o il giardinaggio), soprattutto se si ha mangiato meno del solito.
I sintomi (disturbi) dell' ipoglicemia sono: sudorazione, tremore, senso di freddo o brividi, senso di fame, batticuore, ansia, irritabilità , confusione mentale, difficoltà a parlare, vista annebbiata, capogiro o mal di testa. Se non si interviene alla svelta, in alcuni casi più esserci perdita di coscienza (svenimento).
Nel sospetto (quando non si può misurare con il glucometro) o nella certezza dell' ipoglicemia bisogna agire subito prendendo 15 g di zuccheri semplici, ad esempio uno fra i seguenti:
2 caramelle fondenti
3 caramelle dure
3 zollette di zucchero
3 bustine di zucchero sciolte in acqua
1 cucchiaio da brodo e mezzo colmo di zucchero
1 cucchiaio da brodo e mezzo colmo di miele
1 cucchiaio da brodo e mezzo colmo di marmellata
1 bicchiere grande (circa 150 ml) di una bibita zuccherata (es. Coca-Cola)
1 bicchiere piccolo (circa 100 ml) di succo di frutta
1 bicchiere grande e mezzo (circa 200 ml) di spremuta di arancio
Dopo circa 15 minuti mangiare circa 50 g di pane oppure un pacchetto di cracker oppure un frutto. Dopo 30-45 minuti se possibile controllare con il glucometro se il problema si è risolto. In caso contrario, mangiare altri 50 g di pane o cracker o un frutto e ripetere il controllo col glucometro dopo altri 30-45 minuti.
Quando si esce di casa bisogna avere sempre con sè qualche caramella e un pacchetto di cracker.
Se si è alla guida e si sentono disturbi compatibili con ipoglicemia, bisogna fermarsi subito e agire.
I parenti del paziente devono sapere cosa fare per risolvere un' ipoglicemia (vedi sopra per il trattamento).
Il diabete è una condizione che influisce sulla nostra vita di tutti i giorni 1 al
momento che per la sua gestione ci impone, oltre che l’assunzione
quotidiana di farmaci sotto prescrizione medica, il dover adottare un
modello di vita assolutamente salutare, basato sull’attività fisica, su
una corretta alimentazione e la lotta allo stress.
Innanzitutto la pratica dello sport, in particolare di tipo aerobico
come per esempio il nuoto, la corsa o il tennis, aiuta il nostro
organismo nei suoi meccanismi di autoregolazione. Anche se talvolta non è
possibile impegnarci in vere e proprie attività sportive, è
fondamentale effettuare lo stesso un’adeguata attività fisica, come può
essere anche semplicemente una camminata, praticata
quotidianamente 1.
Ma certamente, per una corretta gestione un ruolo primario è rivestito dall’alimentazione, che deve essere adatta per la nostra condizione 2.
Una
corretta alimentazione, tuttavia, non comporta necessariamente una
dieta ferrea; anzi vedremo insieme come, con accortezza e intelligenza,
possiamo comunque soddisfare i nostri soliti gusti.
La frutta gioca un ruolo fondamentale nell’alimentazione
La frutta deve essere assunta con regolarità, anche lontano dai pasti se possibile.
Un consiglio importante è di alternare i diversi tipi di frutta,
scegliendo sempre quella di stagione, al fine di poter ottenere il
massimo del risultato sia in fatto di nutrienti che di gusto.
Sappiamo già che con il diabete si ha un aumento dei livelli di zucchero nel sangue,
quindi è necessario che la nostra alimentazione si focalizzi sul tenere
sotto stretto controllo l’assunzione di zuccheri, in ogni loro forma:
con il diabete mellito 1 nel nostro organismo, al tempo stesso, si accresce la dipendenza dall’insulina, che il pancreas non è in grado di produrre e che va introdotta nel circolo sanguigno, mentre nel mellito 2 o nel gestazionale i tessuti del nostro corpo non riescono più a rispondere all’azione dell’insulina 1.
Ti starai domandando quale frutta
troviamo a nostra disposizione nei vari periodi dell’anno? Ogni
stagione offre diverse varietà per gusto e colore, che puoi scoprire con
noi.
Il carrello della nostra spesa quotidiana potrà, quindi, riempirsi con meravigliosa frutta in un tripudio di colori, dal rosso al giallo, all’arancio, al verde.
Sarà opportuno tuttavia prestare attenzione alla quantità e alla frequenza nella consumazione.
Per questo motivo è bene aver presente le proprietà dei diversi frutti al fine di non lasciar prevalere la gola.
Quale frutta scegliere?
FRAGOLE
Regine
dell’estate che ci allietano con il loro colore rosso e il loro
inconfondibile profumo, contengono soltanto 5 grammi di zuccheri per 100
grammi di prodotto 3.
Le proprietà della fragola sono
ottime, perché supportano il miglioramento della sensibilità
dell’organismo all’insulina, depurano fegato e intestino e sono un
ottimo rimedio per problemi come la gastrite, oltre che un valido antiossidante contro l’invecchiamento cellulare 4.
Attenzione però: l’abuso o il consumo di grandi quantità possono favorire la formazione di calcoli renali o biliari.
ARANCE e LIMONI
Portatori dei colori dell’arancio e del giallo,gli agrumi sono i “reali” della tavola del diabetico, specialmente per chi ha il tipo Mellito 2.
Rappresentano uno dei più validi supporti contro l’obesità, la gotta e l’ipertensione.
Questi
agrumi, facenti parti del genere Citrus, sono fonti naturali di acidi
organici, ma possiedono molte altre proprietà nutrizionali, grazie al
contenuto di vitamine e sostanze antiossidanti 4.
Le
Arance possono essere un’ottima soluzione per lo spuntino di metà
mattina e per la merenda, grazie al loro buon carico di vitamina C.
MIRTILLI
Sono
i nostri amici nel frigorifero! Dal bel colore blu, hanno un basso
contenuto di zuccheri esattamente come le fragole, di cui abbiamo
parlato prima. Il loro consumo regolare, così come l’assunzione del loro
succo, supporta la regolazione dei livelli di zucchero nel
sangue, fornendo allo stesso tempo un valido contributo al sistema cardiovascolare.
ANGURIA
Contiene circa 4 grammi di zuccheri per 100 grammi di prodotto (in media 3,7 grammi) 3, una minima quantità che anche chi ha il diabete può assumere. Tuttavia sarebbe bene non superare la quantità di 300 grammi la settimana,
sempre lontano dai pasti e suddivisa in diverse porzioni in giorni
diversi, al fine di non gravare troppo sull’organismo nella gestione
degli zuccheri in ingresso 4.
MELONE
Rappresenta un buon aiuto per regolare il metabolismo dell’insulina, ormone che riduce i picchi di glucosio nel sangue.
Il suo contenuto di zuccheri corrisponde a 7,4 grammi su 100 grammi di prodotto 3, per cui deve essere assunto con moderazione. E’ portatore generoso di potassio, vitamine e in generale di sali minerali. Ha anche un ottimo effetto sullo stress ossidativo.
CILIEGIE
Contengono
antociani, che sono tra i più importanti gruppi di pigmenti presenti
nei vegetali, noti anche per la loro capacità di ridurre la glicemia,
aumentando in alcuni casi la produzione di insulina anche del 50%. Oltre che nel diabete, sono utili nella prevenzione di molte altre condizioni, come i disturbi cardiovascolari.
Le ciliegie hanno un indice glicemico
di 22, uno dei punteggi più bassi di qualsiasi frutto. Una mezza
tazza di ciliegie fresche, essiccate, congelate o in scatola è da
considerarsi “una buona porzione”.
PRUGNE nere
Gli effetti nel trattamento del diabete sono stati studiati dai ricercatori del Father Muller Medical College in India.
La presenza di antociani, acido ellagico e tannini idrolizzabili, ne fanno un frutto benefico per le persone con il diabete.
Infatti,
il frutto, le foglie e i semi del susino nero, se inseriti in una dieta
equilibrata, possono essere di supporto nel controllo
del livello di zucchero nel sangue 5 .
Anche in questo caso, una “buona porzione” è costituita da mezza tazza di prugne nere al giorno.
GUAVA
Anche se poco nota, la guava è un frutto esotico, ricco
di vitamina C e potassio, e ha anche un’alta concentrazione di
licopene, potente antiossidante, oltre che un’alta concentrazione di
fibre alimentari.
Tutti questi nutrienti sono utili per la gestione dei livelli di zucchero nel
sangue. Si può mangiare un frutto intero al giorno, tagliato a
fette senza la buccia, o bere un piccolo bicchiere di succo di guava.
Le
persone inclini a sviluppare il diabete possono trovare un alleato
nella prevenzione bevendo tè alle foglie di guava una volta al giorno.
La
coltivazione della guava viene effettuata anche all’interno del
territorio italiano, in particolar modo in tutte quelle aree in cui si
coltivano gli agrumi, come ad esempio la regione Sicilia.
KIWI
Per
questo frutto, alcuni studi hanno evidenziato una correlazione tra il
suo consumo ed un miglior controllo dei livelli di zucchero nel sangue.
Contiene
vitamina C, E e A, flavonoidi, potassio e elevate quantità di
beta-carotene che proteggono dai radicali liberi e migliorano la salute
generale.
Inoltre, il kiwi è ricco di fibre e povero di
carboidrati: questo aiuta nella gestione della glicemia e a ridurre il
colesterolo.
Il suo indice glicemico varia da 47 a 58.
Mangiare un kiwi al giorno può aiutare, anche in questo caso, a
controllare i livelli di glucosio nel sangue.
MELE
Spesso presenti nelle nostre tavole, sono ricche di fibre solubili, vitamina C e antiossidanti.
Inoltre,
le mele contengono pectina che contribuisce all’eliminazione di scorie
nocive per il nostro organismo e sembrerebbero in grado di ridurre il fabbisogno di insulina dei diabetici fino al 35%. Il loro indice glicemico è compreso tra 30 e 50.
Le
mele aiutano anche a prevenire attacchi di cuore, ridurre il rischio di
tumore e prevenire le malattie degli occhi, in particolar modo tra le
persone con il diabete. Ti consigliamo il consumo di una mela piccola o
media al giorno, se è il tuo frutto preferito.
AVOCADO
Un
altro frutto tropicale che, grazie al suo elevato contenuto di fibre e
al suo contenuto di grassi monoinsaturi, aiuta a stabilizzare la
glicemia 2.
Secondo prestigiose accademie di nutrizione
e dietetica, i grassi monoinsaturi possono migliorare anche la salute
del cuore. Questo è importante perché le persone con diabete
possono avere un rischio più elevato di incorrere ictus e malattie
cardiache.
Inoltre, l’avocado contiene una buona quantità di
potassio, che aiuta nella prevenzione della neuropatia diabetica. È
possibile includere l’avocado in insalate e panini o fare un condimento
con la sua purea, un po’ di succo di limone, aglio ed olio d’oliva 2.
PERE
Sono
ricche di fibre e vitamine A, B1, B2, C ed E che aiutano a ridurre il
colesterolo, rafforzare il sistema immunitario e migliorare la salute
dell’apparato digerente, oltre a regolare i livelli di zucchero nel
sangue. Le pere sono frutti a ridotto contenuto di calorie e carboidrati
e, difatti, hanno un indice glicemico di 38, considerato basso.
Le
pere sono particolarmente benefiche per le persone che hanno il diabete
di tipo 2 perché aiutano a migliorare la sensibilità all’insulina. Una pera piccola o media come dessert o come snack dolce è da considerarsi una buona porzione.
POMPELMO
E’
ricco di fibra solubile e vitamina C ed ha un indice glicemico
inferiore a 25. Contiene naringenina che aumenta la sensibilità del
corpo all’insulina e aiuta anche a mantenere un peso normale.
Un
mezzo pompelmo al giorno può aiutare a controllare il livello di
zucchero nel sangue. Mangiare il frutto, invece di bere il succo,
offre maggiori benefici poiché permette di assumere maggiori nutrienti.
Se
hai letto l’articolo fin qui, ora saprai certamente che Fragole,
Arance, Limoni, Mirtilli, Angurie, Meloni, Ciliegie, Prugne, Guava,
Kiwi, Mele, Avocado, Pere e Pompelmi non dovrebbero pertanto mai mancare
sulla nostra tavola!
Dove si trovano i carboidrati Cosa sono i carboidrati; chi può prescrivere la dieta;
dove si trovano i carboidrati; alimenti privi di carboidrati.
I carboidrati sono sostanze nutritive fondamentali nella nostra alimentazione e costituiscono il mattone fondamentale della dieta mediterranea di cui dovresti fidarti senza tentennamenti. È importante scoprire cosa siano i carboidrati se vuoi riconoscerli ed evitarne un consumo eccessivo che potrebbe compromettere il tuo stato di salute.
Potrai leggere dove si trovano i carboidrati e quali alimenti, invece, ne sono privi o quasi. Ricorda, però, che non esistono generalizzazioni facili e che i carboidrati non sono un male da estirpare a ogni costo dalla tua alimentazione quotidiana, ma come per molte cose anche in questo caso è tutta una questione di equilibrio. Proprio per questo, il consiglio migliore che puoi ricevere per calibrare correttamente i carboidrati che assumi è quello di un medico dietologo che può guidarti attraverso una nutrizione sana e consapevole.
Il termine carboidrato deriva dal fatto che gli zuccheri sono costituiti da carbonio combinato con ossigeno e idrogeno nelle stesse proporzioni dell’acqua. Un primo chiarimento necessario, per evitare la confusione che spesso si fa con l’argomento, è sottolineare che carboidrati e zuccheri sono la stessa cosa e ogni grammo di questi fornisce circa 4 calorie al corpo umano.
Ogni giorno, probabilmente, assumi carboidrati di vari tipi come lo zucchero da tavola, gli zuccheri contenuti nel latte, quelli presenti nella frutta e quelli derivanti dalle sostanze amilacee, cioè pasta, pane e riso che contengono appunto amido. Tuttavia, non tutti i carboidrati sono uguali e vengono classificati in base alla struttura chimica in carboidrati semplici e carboidrati complessi.
I carboidrati sono divisi dalla biochimica in base al numero di monometri da cui sono formati. Tra i carboidrati semplici vi sono il glucosio, il fruttosio e il galattosio (definiti monosaccaridi); saccarosio, maltosio e lattosio (carboidrati disaccaridi). I carboidrati complessi sono quelli che contengono una maggiore tipologia di zuccheri diversi tra loro e sono: amido, cellulosa e glicogeno (carboidrati polisaccaridi). Dopo l’ingestione tutti questi zuccheri subiscono un processo di scomposizione che è più complesso per alcuni come l’amido e più semplice ad esempio per il saccarosio.
In buona sostanza:
i carboidrati semplici sono quelli immediatamente digeribili che si trasformano subito in energia: ad es. zucchero e miele. Vanno subito “in circolazione” e se non li bruci subito è più facile che si trasformino in grasso;
i carboidrati complessi sono quelli che richiedono la digestione per essere scomposti: ad es. pasta, pane, riso e patate. Hanno un tempo di rilascio dell’energia più lento, fino a 24 ore, e possono pertanto essere una riserva per l’intera giornata senza che si trasformino subito in grasso
I carboidrati rappresentano la principale fonte di energia per il nostro organismo e sono indispensabili per il corretto funzionamento del nostro sistema nervoso centrale che ne consuma ogni giorno circa 180 grammi. In altre parole, il carburante del nostro cervello è costituito solamente dai carboidrati. Inoltre, gli zuccheri sono fondamentali anche per il mantenimento del tessuto nervoso, dei globuli rossi e per il funzionamento di alcune cellule del surrene.
L’eccessiva presenza di zucchero nell’organismo determina accumuli di grasso nel fegato e nei muscoli e si può trasformare a lungo andare in patologie come obesità, diabete e coronaropatie perciò è necessario prestare attenzione al consumo di carboidrati in modo che l’equilibrio ottimale per il corpo sia sempre mantenuto costante.
Ricorda che i carboidrati non sono il nemico ed eliminarli dalla tua dieta può portare a conseguenze dannose per il tuo stato di salute. Al contrario, possono aiutarti a perdere peso, se è questo il tuo obiettivo, in quanto aiutano a migliorare l’assetto ormonale dell’organismo. In particolare, i carboidrati assunti in quantità corrette in base al tuo sesso, alla tua età, alla tua storia clinica e familiare e al tuo livello di attività fisica possono far rimanere attivi gli ormoni tiroidei e la leptina; inoltre, scongiurano il rischio di insulino-resistenza grazie a una maggiore sensibilità proprio dell’insulina.
Chi può prescrivere la dieta
Se decidi di affidarti a un professionista che valuti con attenzione il tuo regime alimentare e ti proponga una dieta anche eventualmente povera di carboidrati ricorda che solo un medico può prescrivere una dieta e non altre figure come il biologo nutrizionista. Il biologo, infatti, secondo una sentenza emessa dal tribunale di Roma [1], può solo suggerire profili nutrizionali finalizzati al miglioramento dello stato di salute e non una dieta come atto curativo, poiché questa rimane un’attribuzione esclusiva del medico.
Il dietista è un operatore delle professioni sanitarie che può elaborare le diete prescritte dal medico, verificandone gli effetti e adattandole alle abitudini alimentari del paziente e alle sue condizioni cliniche. Neppure il dietista quindi può prescriverti la dieta. Meglio rivolgersi al medico dietologo che ti assisterà nel rispetto delle competenze previste dal ministero della Salute in merito alla prescrizione delle diete.
Dove si trovano i carboidrati
I carboidrati semplici si trovano in un grande numero di alimenti che consumi quotidianamente ma mentre è facile riconoscere nella pasta e nel pane cibi che ne contengono, è più difficile immaginare il latte o la frutta come fonti di carboidrati. Ecco, dunque, un elenco dei principali alimenti contenenti zuccheri:
la pasta, il pane, il riso;
la frutta, soprattutto quella matura è un essenziale fonte di vitamine a fronte di una quantità di calorie piuttosto modesta. La frutta è importante da consumare quotidianamente anche come fonte di carboidrati semplici che certamente è tra le più sane che puoi scegliere. Frutti particolarmente ricchi di zuccheri sono: uva, albicocche, pesche, banane, ananas, frutta tropicale, pere, fichi, cachi, ciliegie;
carboidrati semplici sono contenuti anche in altri alimenti naturali come il miele, la melassa o lo sciroppo d’acero che sono quindi da preferirsi al normale zucchero da tavola;
gli zuccheri contenuti nel latte e nello yogurt sono una delle componenti nutrizionali principali di questi alimenti; il lattosio in particolare è fondamentale perché migliora la capacità del tuo corpo di assorbire il calcio e lo zinco;
anche i legumi sono una discreta fonte di carboidrati oltre a essere alimenti ricchi di proteine vegetali e spesso contenenti vitamine e ferro; ottimi da consumare nella tua dieta sono perciò le lenticchie, i ceci, i fagioli e i piselli;
altri alimenti di origine vegetale contenenti un buon quantitativo di carboidrati sono le patate, le castagne, la zucca, le carote, la barbabietola da zucchero, la tapioca;
i cereali (intesi come frutti di piante erbacee che dopo essere stati macinati producono farine) sono la fonte di carboidrati complessi più utilizzata sulle nostre tavole e tra essi vi sono: frumento, riso, mais, avena, orzo, segale, grano saraceno, amaranto, farro, quinoa, kamut, miglio. Rappresentano una fonte di carboidrati a rilascio più lento e che può quindi essere utilizzata in tempi più lunghi rispetto a quelli degli zuccheri semplici;
frutta secca e semi come: mandorle, noci, semi di zucca, semi di girasole sono un’ottima fonte energetica perché ricchi in carboidrati; ma sono anche origine di sostanze positive per il tuo corpo come gli acidi grassi omega3 che aiutano a ridurre il colesterolo cattivo (LDL).
I carboidrati, come facilmente intuirai, non sono presenti nella tua alimentazione solo nelle forme naturali che hai appena letto nell’elenco sopra, ma possono anche essere presenti in forma artificiale. Questi ultimi rappresentano la forma più nociva di zuccheri che possiamo trovare in una vasta serie di alimenti come: biscotti, merendine, bibite in bottiglia zuccherate, cioccolato, gelati, patatine in busta, pizze e focacce confezionate, snack, caramelle.
Per evitare gli zuccheri aggiunti nel cibo confezionato, presta attenzione alle etichette ed evita gli alimenti con queste diciture:
Esistono alcuni alimenti che possono essere ottimi alleati di una dieta a basso consumo di carboidrati e ti consentono di ridurre la sensazione di gonfiore addominale e di perdere peso in modo salutare. I carboidrati non aiutano il senso di sazietà e un’alimentazione che prediliga un minore uso di carboidrati potrà ridurre la sensazione spiacevole di vuoto allo stomaco. Non devi comunque eliminare i carboidrati dal tuo nutrimento, ma sarebbe ideale riuscire a consumarne circa 80 grammi nell’arco della giornata.
Ecco un elenco dei principali cibi a basso contenuto di carboidrati:
pesci azzurri e in generale qualunque tipo di pesci. Ottimi per un’alimentazione equilibrata e ricca di acidi grassi utili al corretto funzionamento del nostro organismo, risultano quasi privi di carboidrati;
tutti i tipi di carne, sono poveri di carboidrati ma il consiglio è di consumare i tagli più magri, le carni bianche e di cucinare con cotture leggere;
gli insaccati seppur privi di carboidrati sono ricchi di grassi saturi e colesterolo quindi il consiglio è di non mangiarli con cadenze superiori a una volta a settimana;
verdure a foglia verde (spinaci, lattuga, cime di rapa, cicoria, bietole, cavolo nero etc.) oltre ad avere pochi carboidrati, contengono poche calorie; sono ricche di vitamine e sono ottime per una dieta detox perché aiutano a depurare il tuo corpo;
altre verdure e ortaggi contenenti pochi carboidrati sono: zucchine, fagiolini, cetrioli, cavoli, asparagi, finocchi, ravanelli;
i funghi sono poveri di carboidrati e calorie ma ricchi di antiossidanti e minerali;
anche le uova contengono pochi carboidrati e si prestano a molte preparazioni prive di condimenti grassi, ma attenzione perché sono anche ricche di colesterolo e sarà quindi opportuno consumarle con attenzione;
puoi bere tè e caffè senza aggiungere carboidrati alla tua alimentazione poiché ne sono privi e aiutano a sentirsi pieni di energie, ovviamente dovrai evitare di berli zuccherati;
parmigiano e grana padano sono due formaggi a pasta dura a basso tenore di carboidrati e ricchi di sali minerali. Attenzione però alle calorie e ai grassi di cui i due formaggi sono tutt’altro che privi;
la ricotta ha il vantaggio di essere un formaggio fresco che puoi introdurre nella tua dieta a ridotto consumo di carboidrati e che ha un quantitativo limitato anche di grassi e calorie;
lo yogurt greco è basso in carboidrati e ricco in proteine, perciò si può rivelare un utile alleato per combattere il senso di fame;
burro eolio d’oliva fanno parte della categoria dei grassi e pur essendo privi di carboidrati vanno usati con moderazione in una dieta ipocalorica.
COSA NON DEVE MANGIARE UN DIABETICO? GUARDA IL VIDEO
Diabete ed estate Il diabete in estate o nei Paesi caldi – le 10 regole per evitare problemi
Bere abbondantemente anche se non si ha molta sete per evitare il pericolo di disidratazione e bere ancora di più se si ha sudato molto. Nelle persone con diabete la presenza di elevati livelli di glicemia può ulteriormente favorire la perdita di liquidi attraverso le urine, motivo in più per prestare molta attenzione alla corretta idratazione. Inoltre, i diabetici spesso assumono diuretici e, da poco tempo, sono talora trattati con farmaci anti-diabete (inibitori SGLT-2 o gliflozine) che aumentano le perdite urinarie di glucosio e, con essi, di acqua. Per reintegrare i liquidi perduti la bevanda da preferire è l’acqua oppure il tè fatto in casa, non zuccherato. Vanno guardate con sospetto le bevande cosiddette “senza zucchero” perché spesso contengono sostanze zuccherine occulte o, in alternativa, contengono edulcoranti il cui effetto neutro per l’organismo in questo momento è in discussione. Attenzione anche alle bevande reidratanti contenenti sali minerali perché talora contengono anche zucchero o simili. Il loro eventuale uso va sempre discusso con il medico.
Prestare attenzione all’alimentazione, anche quando si soggiorna in albergo e sono frequenti le tentazioni dei ricchi buffet o dei menu pantagruelici. La scelta comunque è generalmente ampia e la persona con diabete può vivere piacevoli esperienze a tavola, mantenendo un buon rapporto sociale con parenti e amici, senza esporsi al rischio di un’eccessivo introito di alimenti con eccessivo carico glicemico. E’ l’occasione per aumentare il consumo di pesce, verdura, frutta e non per togliersi soddisfazioni con dolciumi e per esagerare coi carboidrati e i grassi. Non è obbligatorio mangiare tutto e di più e non è impossibile dire di no oppure chiedere al cameriere un’alternativa più adatta alla propria condizione di salute.
Astenersi dal fare attività sportive strenue se non si è allenati e in generale di fare sport all’aperto nelle ore più calde. L’attività fisica è parte integrante della gestione del diabete ma in estate, in presenza di temperature elevate, è meglio svolgerla all’aperto nelle prime ore del mattino o nel tardo pomeriggio o dopo il tramonto, ricordandosi sempre di reintegrare le perdite di acqua ed elettroliti. Nessun problema se l’attività è svolta in palestre con l’aria condizionata. Eccellente il nuoto, al mare, al lago o in piscina per la sua capacità di mettere in movimento tutti i muscoli in un contesto fresco. Ricordare che l'insulina viene assorbita e quindi agisce più rapidamente se iniettata in un muscolo che è stato impegnato nell’attività fisica.
Evitare di esporsi troppo al sole per evitare ustioni o dermatiti da raggi solari. Le infezioni che possono complicare le lesioni cutanee scompensano il diabete. Usare quindi creme protettive adeguate
Evitare di camminare scalzi. L’estate per molti è sinonimo di libertà e il camminare a piedi nudi fa talora parte del questa libertà. Le persone con diabete tuttavia devono fare attenzione a non riportare lesioni ai piedi e non devono mai camminare scalze. Al mare è bene usare ciabatte morbide per non scottarsi o ferirsi accidentalmente anche per la ridotta sensibilità alle estremità tipica del diabete. In caso di lesione o ferita ad un piede, non trascurarla ed evitare il “fai da te” nella cura. Passare da piccole lesioni considerate banali a infezioni e poi a grandi problemi è molto frequente.
Non trascurare il maggiore rischio di ipoglicemia se si è in trattamento con insulina o con farmaci anti-diabetici orali quali sulfoniluree e glinidi che possono causare ipoglicemia. D’estate ci si muove a volte di più e la glicemia può scendere perché il glucosio è consumato nei muscoli. D’estate può succedere di avere un ritmo di vita diverso con intervalli più lunghi fra un pasto e l’altro e glicemia che scende lontano dal pasto precedente. Durante un soggiorno di vacanza fuori casa può cambiare la qualità o la quantità del cibo e la glicemia può salire meno in occasione del pasto e/o scendere troppo fra un pasto e l’altro. Uno dei sintomi classici della crisi ipoglicemica, la sudorazione, può essere confusa con la sudorazione legata al caldo e l’ipoglicemia riconosciuta con maggiore difficoltà o con ritardo. Anche se si è in vacanza bisogna tenere sempre sotto mano una fonte di carboidrati a rapido assorbimento.
Monitorare con regolarità la glicemia. Anche in estate è indispensabile non abbandonare i periodici controlli glicemici, commisurati al tipo di diabete e alla terapia anti-diabetica. Ricordare che glucometro e strisce per la glicemia non amano il troppo caldo o il troppo freddo, quindi le strisce reattive e lo strumento vanno conservati al riparo dal sole (lasciarli in una macchina parcheggiata al sole può danneggiarli irreparabilmente e rendere i risultati inaffidabili). Soprattutto se si programma di fare un lungo viaggio in macchina è consigliabile controllare la glicemia prima di partire ed eventualmente durante le soste. Lo stress della guida o di un lungo viaggio può aumentare la glicemia.
Valutare la necessità di adeguare la terapia antidiabetica. Il riposo riduce lo stress e solo questo cambiamento può far scendere le glicemie. D’altro canto il soggiorno in albergo e le attività ricreative possono determinare una diversa distribuzione dei carboidrati fra i vari pasti e cambiamenti nell’orario di assunzione del cibo. E’ possibile che aumenti l’introito dei carboidrati a colazione e si riduca quello del pranzo. E’ possibile che la colazione non sia più alle 7 ma si sposti alle 9 del mattino o che la cena sia posticipata di un’ora. E’ possibile che si consumi di più (passeggiate, nuoto, ginnastica, ballo). Il ritmo di vita cambia e la terapia anti-diabetica dovrà seguire questi cambiamenti (seguendo le indicazioni fornite dal medico curante prima della partenza).
Prevenire le variazioni della pressione arteriosa. Se si soggiorna a lungo in ambienti caldi può essere necessaria una riduzione delle dosi dei farmaci anti-ipertensivi, in particolare dei diuretici Al contrario, se ci si reca in montagna, la terapia antipertensiva potrebbe meritare un potenziamento perché in alta quota tende a salire. E’ comunque necessario consultare il proprio medico curante prima di fare variazioni della terapia anti-ipertensiva.
Ricordare di portare con sé farmaci e glucometri. Prima di partire, ricordarsi di procurarsi scorte di farmaci sufficienti per tutto il periodo di vacanza, aumentate di un prudenziale 20-30% per far fronte ad ogni evenzienza. Questo accorgimento è particolarmente valido se ci si reca all’estero, in paesi dove si può prevedere qualche difficoltà di approvvigionamento in caso di imprevisti. Soprattutto l’insulina va conservata in maniera adeguata, senza esporre penne e flaconi ad alte temperature, avendone massima cura. Per le persone con diabete tipo 1 l’insulina è un farmaco salvavita e per un quarto delle persone con diabete tipo 2 è comunque necessaria.
Trattamento dietetico (programma nutrizionale e valutazione) " in data: Venerd' 24 maggio 2024 ore 9,00
Visita Oculistica Presso Distretto San Giorgio di Nogaro, via Palmanova 1.
" in data: 12 Luglio 2024 ore 11,00Controllo Fondo Occhio.
Visita Chirurgia Vascolare O.C.UDINE. - Pad 15 Nuovo ospedale, piano terra - Piastra, Amb chirurgici -sala accettazione " in data: 28 Agosto 2024 ore 10,40
Visita Diabetologica O.C.Latisana "in data: 03 Settembre 2024 ore 13,30 . . . . . Analisi da fare entro prima settimana di maggio