Che cos’è l’indice glicemico (IG) di un alimento?
L’indice glicemico è un parametro elaborato agli inizi degli anni ’80 dal prof. Jenkins dell’Università di Toronto che classifica gli alimenti in base alla loro influenza sul livello di glucosio nel sangue (glicemia).
Per molto tempo in passato si è ritenuto che tutti i carboidrati semplici (dolci, bibite, succhi….) fossero uguali e facessero salire rapidamente il glucosio nel sangue; viceversa si riteneva che tutti i carboidrati complessi (verdure, legumi, cereali integrali etc) lo facessero salire lentamente e in modo graduale. Fortunatamente gli studi più recenti hanno ampiamente documentato che non è sempre così: per quanto riguarda i carboidrati semplici, per esempio, si è scoperto che il pane bianco fa salire più rapidamente il glucosio nel sangue rispetto a un gelato.
Da dieci anni a questa parte molti studi scientifici hanno dimostrato direttamente o indirettamente l’interesse dell’indice glicemico nella lotta contro l’obesità ma anche nella prevenzione del diabete e delle malattie cardiovascolari.
Come si misura l’IG dei vari alimenti?
Tecnicamente si misura valutando l’incremento della glicemia quando si assumono 50 g di glucosio. L’entità della risposta viene espressa in termini percentuali medi rispetto al glucosio (oggi si usa anche il pane bianco), che viene preso come punto di riferimento stabilendone un valore pari a 100 nella scala dell’indice glicemico. Esistono inoltre delle tabelle di classificazione arbitraria in IG elevato, intermedio e basso che secondo la maggior parte degli autori è fissata nei range di valori indicati nella tabella sottostante. I cibi che fanno salire il glucosio rapidamente hanno un IG alto, quelli che lo fanno salire gradualmente hanno un IG basso.
IG ELEVATO 100-70 (%) |
IG INTERMEDIO 69-55 (%) |
IG BASSO inferiore a 55 (%) |
---|---|---|
esempi | esempi | esempi |
Glucosio 100 Cornflakes 84 Miele 73 Pane bianco 70 |
Pane integrale 69 Zucchero 65 Succo d’arancia 57 Popcorn 55 |
Uva/Banane 52 Latte scremato 32 Legumi 27-33 Fruttosio 23 |
Fonte: M Szwillus, D Fritzsche, Mangiare sano con il diabete, Tecniche Nuove, 2010
Perché è importante l’IG per una persona diabetica?
L’Indice Glicemico è un valore importante per chi soffre di diabete, considerato che deve evitare rapidi innalzamenti della glicemia. Seguire una dieta a base di alimenti con IG basso, per quanto possa sembrare complicato, può permettere un migliore controllo della propria glicemia. Secondo alcuni Esperti, inoltre, gli alimenti a IG più basso aiutano a dimagrire perché provocano sazietà senza bisogno di molte calorie. E sentirsi sazi è importante sia per chi ha il diabete che per chi vuole dimagrire. Alcuni alimenti con IG basso (per es. mele, latte scremato, pomodori) sono anche ipocalorici.
Da che cosa dipende l’indice glicemico?
Quando consumiamo qualche alimento che contiene carboidrati, questi passano dall’intestino al sangue e così i livelli di glucosio aumentano. L’ammontare di questo aumento dipende da diversi fattori: la composizione dell’alimento, il luogo di coltivazione e raccolta, il contenuto in amidi, proteine, fibre e grassi, la combinazione con altri alimenti, il tipo di cottura, il grado di maturazione (per es. per la frutta) sono tutti fattori che possono influenzare anche notevolmente gli effetti sulla glicemia; inoltre l’IG può presentare forti variazioni da una persona all’altra.
I valori dell’Indice Glicemico pur essendo un parametro utile soprattutto per la qualità della propria dieta, vanno considerati, tuttavia, come valori puramente indicativi perché si riferiscono sempre e solo all’alimento puro e non alla quantità effettivamente consumata (carico glicemico). Rispetto ad una dieta classica che fornisce le quantità esatte da consumare, quella dell’IG è necessariamente più imprecisa. Il consiglio è quello di usarla come ausilio complementare ad altri tipi di dieta consultandoti con il tuo medico.
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La quantità consumata fa la differenza
Molti alimenti con un indice glicemico basso sono integrali e sono ricchi di nutrienti come fibre, vitamine, minerali e altri componenti importanti per la salute, perciò è consigliabile inserirne molti nel proprio menù quotidiano. Tuttavia, è importante tenere sempre d’occhio anche la quantità che si assume di ciascun alimento.
Quanto più è elevato il consumo di un alimento con basso ID, tanto più evidente sarà l’aumento della glicemia. Al contrario, il consumo di una quantità ridotta di un alimento con IG elevato influenza la glicemia meno di quanto lascerebbe presumere il suo indice glicemico. Per questo nella pratica è molto più utile il Carico Glicemico. |
Che cos’è il Carico Glicemico (CG)?
Il carico glicemico valuta l’effetto sulla glicemia di un alimento basandosi sulle quantità effettivamente consumate. Di conseguenza è un parametro più adatto per calcolare il consumo quotidiano dei vari alimenti. Mentre l’Indice Glicemico è la misura della qualità dei carboidrati, il Carico Glicemico è la misura della loro quantità: tiene conto sia dell’IG che del contenuto di zuccheri per porzione consumata.
FORMULA DI CALCOLO DEL CARICO GLICEMICO
Indice glicemico
100 |
X | g di carboidrati a porzione |
A seconda delle dimensioni della porzione, infatti il carico glicemico di alimenti diversi può risultare simile nonostante l’indice glicemico degli stessi sia molto diverso. Proviamo a fare un esempio che possa chiarire meglio il concetto:
Porzione alimento |
g di carboidrati a porzione |
Indice glicemico |
Carico glicemico |
100 g di pane ai cereali | 43 g | 45 | 45/100×43=19 |
50 g di pane bianco | 24 g | 70 | 70/100×24=17 |
100 g di pane bianco* | 48 g | 70 | 70/100×48=34 |
Fonte: M Szwillus, D Fritzsche, Mangiare sano con il diabete, Tecniche Nuove, 2010 * tipo baguette francese |
Come indicato nella tabella, una porzione di pane ai cereali ha un carico glicemico di 19, mentre una porzione di pane bianco (che ha un IG molto più elevato rispetto al pane ai cereali) ha un carico glicemico simile, pari a 17. Aumentando la quantità consumata di pane bianco, a parità di IG, il carico glicemico raddoppia.
Il glucosio è il principale zucchero contenuto nel sangue, origina dal cibo ingerito ed è la principale fonte di energia dell’organismo. Il sangue trasporta il glucosio a tutte le cellule del corpo per il loro fabbisogno energetico.
La glicemia indica i livelli di glucosio nel sangue ed è solitamente al minimo la mattina, prima della colazione ed aumenta dopo i pasti per un paio di ore circa. L’assunzione di alcolici causa un incremento iniziale dello zucchero nel sangue, seguito tendenzialmente da una caduta dei valori ed anche alcuni farmaci possono aumentare o ridurre i livelli del glucosio. Livelli anomali di zucchero nel sangue possono essere indicativi di patologie, un valore persistentemente elevato viene detto iperglicemia, mentre il termine ipoglicemia identifica i livelli troppo bassi.
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Quali sono i valori normali di glicemia ?
1) La glicemia a digiuno (nessuna assunzione di nutrienti per 8 ore) normale oscilla tra 70 e 99 mg/dl (è da notare che l’OMS indica ancora valori di glicemia normali fino a 110 mg/dl).
2) La glicemia due ore dopo l’assunzione di cibo è normale se inferiore a 140 mg/dl, anche se abbondanti pasti serali possono essere seguiti da valori glicemici fino a 180 mg/dl.
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Come viene posta la diagnosi di diabete ?
La diagnosi di diabete viene posta in seguito ad una qualunque delle seguenti condizioni:
1) Due test glicemici a digiuno consecutivi con risultato uguale o superiore a 126 mg/dl.
2) Un qualunque rilievo glicemico maggiore di 200 mg/dl.
3) Un esame A1c con risultato uguale o maggiore a 6,5% (48 mmol/mol). L’esame A1c è un test del sangue semplice che fornisce la media trimestrale della glicemia.
4) Un test orale di tolleranza al glucosio da 75 g (la “curva da carico”) con un qualunque rilievo a due ore superiore a 200 mg/dl.
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Che significa “pre diabete” ?
Il medico può parlare di pre-diabete, anche se il termine non si dovrebbe più usare perché sostituito da altra terminologia. Significa che il soggetto ha un rischio elevato di sviluppare il diabete. È possibile prevenire o ritardare l’insorgenza della malattia aumentando l’attività fisica, seguendo una dieta sana e mantenendo o perdendo peso. Il “pre diabete” si verifica in questi casi:
1) glicemia a digiuno 100-125 mg/dl (alterata glicemia a digiuno o impaired fasting glucose, IFG);
2) glicemia 2 ore dopo carico orale di glucosio compresa tra 140-199 mg/dl (ridotta tolleranza al glucosio o impaired glucose tolerance, IGT);
3) HbA1c 42-48 mmol/mol (6,00-6,49%).
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Cos’è l’emoglobina glicata (A1c)?
L’esame dell’emoglobina glicata misura il livello medio di glucosio nelle ultime 10 – 12 settimane e dovrebbe essere consigliato al paziente diabetico ogni 3 – 6 mesi. I valori obiettivo di A1c sono, per molti soggetti diabetici, intorno a 6,5 – 7% (48 – 53 mmol/mol); può tuttavia dover essere più alto in alcuni pazienti, in particolare bambini e anziani. Il medico può aiutare a stabilire un valore obiettivo che sia adeguato e realistico in uno specifico individuo. I valori di HbA1c compresi tra 42 e 48 mmol/mol (6,0-6,49%) non sono legati ad una diagnosi di diabete, ma sono considerati meritevoli di attenzione in quanto associati a un elevato rischio di sviluppare la malattia. In presenza di tali condizioni viene raccomandato un attento monitoraggio, la valutazione della coesistenza di altri fattori di rischio per diabete o malattie cardiovascolari come obesità, colesterolo alto, ipertensione arteriosa, cioè dei fattori che fanno parte del quadro della sindrome metabolica.
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Controllo del glucosio nell’urina
I controlli urinari del glucosio sono meno accurati di quelli ematici (cioè sul sangue) e dovranno essere adottati solo nell’impossibilità di un esame del sangue. I controlli urinari dei chetoni, però, diventano importanti quando un diabete è fuori controllo o in caso di malattia. Un soggetto con diabete dovrà imparare a eseguire la ricerca dei chetoni nell’urina.
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Da cosa è causata l’ipoglicemia (basso livello di glucosio) ?
L’ipoglicemia, ossia bassi livelli di glucosio o zucchero nel sangue, è la condizione in cui il glucosio scende al di sotto dei livelli normali. I farmaci usati per la terapia del diabete (insulina, sulfoniluree e biguanidi) sono le cause più frequenti di ipoglicemia. Il rischio è maggiore in soggetti diabetici che abbiano mangiato meno, fatto più attività fisica o assunto alcolici più del solito. Tra le altre cause di ipoglicemia, ci sono insufficienza renale, alcuni tumori, malattie del fegato, l’ipotiroidismo, l’inedia (grave malnutrizione), errori congeniti del metabolismo, gravi infezioni, ipoglicemia reattiva e varie droghe tra cui l’alcool. L’ipoglicemia può insorgere in neonati altrimenti sani che non siano stati alimentati per qualche ora. Il livello di glucosio che definisce l’ipoglicemia è variabile. Nei soggetti diabetici, livelli sotto 70 mg/dl sono diagnostici. Nei neonati, livelli inferiori a 40 mg/dl o a 60 mg/dl in presenza di sintomi indicano ipoglicemia.
Nei soggetti diabetici, la prevenzione consiste nel coordinare l’assunzione di cibo, la quantità di attività fisica e l’assunzione di farmaci. Si raccomanda la misurazione della glicemia quando un soggetto avverte un abbassamento dei livelli di glucosio nel sangue. Alcuni pazienti hanno pochi sintomi premonitori di ipoglicemia; in questi soggetti, è consigliabile eseguire abitualmente misurazioni frequenti. Il trattamento dell’ipoglicemia consiste nell’assunzione di cibi ricchi di zuccheri semplici o di destrosio. In soggetti non in grado di assumere cibo per bocca, può essere di aiuto un’iniezione di glucagone.
Segni e sintomi di ipoglicemia
I sintomi e manifestazioni di ipoglicemia possono essere divisi in:
1) effetti dipendenti dagli ormoni controregolatori (epinefrina/adrenalina e glucagone) attivati dalla caduta del glucosio,
2) effetti neuroglicopenici per la riduzione del glucosio cerebrale.
In generale possono verificarsi: tremori, ansia e nervosismo, palpitazioni, tachicardia
sudorazione, sensazione di caldo (effetto muscarinico simpatico piuttosto che adrenergico), pallore, sudorazione fredda, pupille dilatate (midriasi), fame, borborigmi
nausea, vomito, fastidio addominale, cefalea, disforia, depressione, pianto, preoccupazioni esagerate, parestesie, irritabilità, aggressività, combattività, rabbia, variazioni della personalità, labilità emotiva, debolezza, apatia, letargia, fantasticherie, sonno, confusione, perdita della memoria, senso di stordimento o vertigini, delirio.
Ricerche in adulti sani mostrano che l’efficienza mentale diminuisce leggermente ma in modo misurabile quando la glicemia scende sotto 65 mg/dl.
Gravità dell’iperglicemia
Nel diabete lo scopo del trattamento è il mantenimento dei livelli di glicemia il più vicino possibile ai valori normali. In un soggetto diabetico, però, per quanta attenzione si possa fare ci sono alte probabilità di sviluppare prima o poi l’iperglicemia. È importante essere in grado di identificare e trattare l’iperglicemia, perché, se non trattata, può dare grossi problemi di salute. Episodi occasionali lievi non destano in genere preoccupazione e possono essere trattati molto facilmente o anche risolversi spontaneamente, tuttavia l’iperglicemia può diventare pericolosa se i livelli di glucosio diventano molto alti o rimangono alti per periodi protratti.
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Livelli glicemici molto alti possono causare complicanze potenzialmente mortali quali:
1) chetoacidosi diabetica, una condizione causata dal fatto che il corpo deve metabolizzare grasso come fonte di energia, con possibile induzione di coma diabetico; la chetoacidosi colpisce tendenzialmente soggetti con diabete di tipo 1
2) stato iperglicemico iperosmolare, una grave disidratazione conseguente al tentativo dell’organismo di eliminare l’eccesso di zucchero; colpisce tendenzialmente individui con diabete di tipo 2
L’iperglicemia protratta costantemente per lunghi periodi (mesi o anni) può indurre danni permanenti a parti del corpo come gli occhi, i nervi, i reni e i vasi sanguigni.
In caso di frequenti iperglicemie, è necessario consultare il medico o il personale sanitario addetto alle cure del diabete. Potrà essere necessario cambiare il trattamento o lo stile di vita per mantenere i livelli di glicemia all’interno di un intervallo sicuro.
Sintomi di iperglicemia
Nei diabetici i sintomi dell’iperglicemia tendono a svilupparsi lentamente nell’arco di qualche giorno o settimane. In alcuni casi ci possono non essere sintomi finché i livelli di glucosio non raggiungono valori molto alti. Generalmente i sintomi sono: aumento della, sete e secchezza della bocca, necessità frequente di urinare, stanchezza, vista offuscata,
perdita di peso non volontaria, infezioni ricorrenti, come la candida, infezioni della vescica (cistiti) e della pelle.
Cause di aumento della glicemia
Esistono molteplici fattori che possono determinare un incremento della glicemia in soggetti diabetici, tra cui: stress, raffreddore, l’assunzione di cibo in eccesso (ad esempio merendine tra i pasti), mancanza di attività fisica, disidratazione, l’omissione di una dose di farmaco per il diabete, o l’assunzione di una dose sbagliata, il sovra-trattamento di un episodio di ipoglicemia (basso livello di glucosio), l’assunzione di determinati farmaci, come i cortisonici. Episodi occasionali di iperglicemia possono insorgere nei bambini e nei giovani durante fasi di crescita veloce.
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Trattamento dell’iperglicemia
Un soggetto con diabete noto e sintomi di iperglicemia dovrà seguire le indicazioni per la riduzione della glicemia fornite dall’apposito personale sanitario. Contattare il proprio medico o tale personale in caso di dubbi. I possibili suggerimenti saranno di:
1) modificare la dieta, ad esempio evitando cibi che causino salite della glicemia, come dolci o bevande zuccherate,
2) bere molti liquidi senza zuccheri, di aiuto in caso di disidratazione,
3) fare più spesso attività fisica: attività fisiche leggere e regolari, come camminare, possono spesso ridurre la glicemia, soprattutto se contribuiscono a fare perdere peso,
4) variare la dose di insulina, nel caso si sia in trattamento; sarà il personale sanitario a dare indicazioni specifiche in merito,
5) monitorare più attentamente la glicemia, o sottoporre sangue o urina alla ricerca di sostanze dette chetoni (associati con la chetoacidosi diabetica).
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Come fare per prevenire l’iperglicemia grave ?
Ci sono modi semplici per ridurre il rischio di iperglicemia grave o prolungata:
1) Fare attenzione al cibo, in particolare essere consapevoli degli effetti di merende e dolci o carboidrati sui propri livelli glicemici.
2) Seguire alla lettera il proprio programma terapeutico; ricordarsi di assumere l’insulina o altro farmaco per il diabete come prescritto dall’apposito personale sanitario.
3) Essere il più possibile attivi; l’attività fisica regolare può aiutare ad arrestare la salita della glicemia. Sarà però necessario confrontarsi con il proprio medico se in trattamento con farmaci, poiché alcune medicine possono indurre ipoglicemia se associate ad un eccesso di attività fisica.
4) Monitorare i livelli glicemici; è possibile che venga suggerito l’impiego di un dispositivo di misura per uso domestico, in modo da individuare presto un incremento della glicemia e agire di conseguenza.
I migliori prodotti per diabetici
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L’emoglobina glicata (emoglobina A1c, HbA1c, A1C, o Hb1c; a volte anche HbA1c) è una forma di emoglobina usata principalmente per identificare la concentrazione plasmatica media del glucosio per un lungo periodo di tempo. Viene prodotta in una reazione non-enzimatica a seguito dell’esposizione dell’emoglobina normale al glucosio plasmatico. La glicazione alta dell’emoglobina è stata associata con le malattie cardiovascolari, le nefropatie e la retinopatia del diabete mellito. Il monitoraggio dell’HbA1c nei pazienti con diabete di tipo 1 può migliorare il trattamento. L’emoglobina A1c fu separata dalle altre forme di emoglobina da Huisman e Meyering nel 1958 mediante una colonna cromatografica. Venne caratterizzata per la prima volta come glicoproteina da Bookchin e Gallop nel 1968. Il suo aumento nel diabete fu descritto per la prima volta nel 1969 da Samuel Rahbar e collaboratori La reazione che porta alla sua formazione fu caratterizzata da Bunn e i suoi collaboratori nel 1975. L’uso dell’emoglobina A1c per il monitoraggio del grado di controllo del metabolismo glucidico in pazienti diabetici fu proposto nel 1976 da Anthony Cerami, Ronald Koenig e collaboratori.
Nel normale arco di vita di 120 giorni dei globuli rossi, le molecole di glucosio reagiscono con l’emoglobina formando emoglobina glicata. In individui diabetici che hanno scarso controllo della glicemia, la quantità della emoglobina glicata che si forma è molto più elevata che nei soggetti sani o nei soggetti diabetici con un buon controllo glicemico ottenuto dalla terapia. Un aumento di emoglobina glicata all’interno dei globuli rossi, pertanto, riflette il livello medio di glucosio al quale l’emazia è stata esposta durante il suo ciclo vitale. Il dosaggio della emoglobina glicata fornisce valori indicativi dell’efficacia della terapia, monitorando la regolazione a lungo termine del glucosio sierico. Il livello di HbA1c è proporzionale alla concentrazione media del glucosio durante le quattro settimane – tre mesi precedenti. Alcuni ricercatori affermano che la porzione più grande del suo valore sia da attribuire a un periodo di tempo relativamente più breve, da due a quattro settimane. Nel 2010 l’American Diabetes Association Standards of Medical Care in Diabetes ha aggiunto l’A1c ≥ 6,5% come ulteriore criterio per la diagnosi clinica di diabete mellito, tuttavia l’argomento è controverso e questo criterio non è stato adottato universalmente.
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Esistono diversi metodi di misura dell’HbA1c. I laboratori di analisi usano:
Gli strumenti presenti nei “point of care” (come gli ambulatori medici e le farmacie) usano:
Negli Stati Uniti, i test utilizzati nei “point of care” sono certificati dal National Glycohemoglobin Standardization Program (NGSP) per standardizzarli nei confronti dei risultati ottenuti dal Diabetes Control and Complications Trial (DCCT) del 1993.
Nell’agosto del 2008 l’American Diabetes Association (ADA), la European Association for the Study of Diabetes (EASD) e l’International Diabetes Federation (IDF) hanno stabilito che, in futuro, l’HbA1c dovrà essere refertata con le unità dell’IFCC (International Federation of Clinical Chemistry and Laboratory Medicine). La refertazione in unità IFCC è stata introdotta in Europa, fatta eccezione per il Regno Unito, nel 2003; nel Regno Unito, il 1º giugno del 2009 è stata introdotta la doppia refertazione, che rimarrà in vigore fino al 1º giugno 2011.
La conversione tra le due unità di misura può esser calcolata mediante la seguente formula: IFCC-HbA1c (mmol/mol) = [DCCT-HbA1c (%) – 2.15] × 10.929
DCCT- HbA1c | IFCC-HbA1c |
---|---|
(%) | (mmol/mol) |
4.0 | 20 |
5.0 | 31 |
6.0 | 42 |
6.5 | 48 |
7.0 | 53 |
7.5 | 59 |
8.0 | 64 |
9.0 | 75 |
10.0 | 86 |
A partire dalla comparazione dei valori di emoglobina glicata coi valori medi di glucosio plasmatico nell’uomo, è stato possibile costruire la seguente tabella:
HbA1c (%) | Glicemia media (mmol/L) | Glicemia media (mg/dL) |
---|---|---|
5 | 4.5 | 90 |
6 | 6.7 | 120 |
7 | 8.3 | 150 |
8 | 10.0 | 180 |
9 | 11.6 | 210 |
10 | 13.3 | 240 |
11 | 15.0 | 270 |
12 | 16.7 | 300 |
Una riduzione dell’1% dei livelli di HbA1c riduce del 21% il rischio di complicanze complessive e del 21% la mortalità dovuta alle complicanze del diabete.
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I migliori apparecchi di ultima generazione per l’automonitoraggio della glicemia, selezionati, consigliati ed usati dal nostro Staff sanitario, sono i seguenti:
Sono strumenti abbastanza economici, tuttavia ottimamente costruiti, affidabili e professionali, prodotti da aziende che da anni sono leader mondiali nella produzione di tecnologie sanitarie.
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Non aumentano il colesterolo, zuccheri nel sangue e pressione
Mangiare molte uova non aumenta colesterolo, zuccheri nel sangue o pressione, in persone con diabete. A 'scagionare' un alimento spesso sconsigliato per questi pazienti è una nuova ricerca sull'American Journal of Clinical Nutrition.
I ricercatori del Charles Perkins Centre, centro affiliato all'Università di Sydney, hanno diviso i 128 partecipanti con diabete o pre-diabete in due gruppi, uno con dieta ad alto consumo di uova (12 a settimana) e l'altro a basso consumo (meno di 2 a settimana). Li hanno seguiti per un totale di 12 mesi, inclusi 3 mesi di dieta durante i quali però non variava il consumo di uova.
Lo studio randomizzato ha monitorato un'ampia gamma di fattori di rischio cardiovascolari tra cui colesterolo 'cattivo', glicemia e pressione, senza trovare differenze significative tra i due gruppi. Inoltre i diversi consumi di uova non avevano alcun impatto sul peso. "La nostra ricerca indica che anche le persone con pre-diabete e diabete di tipo 2 non devono rinunciare a mangiare le uova, se questo fa parte di una dieta sana", spiega il primo autore, Nick Fuller. I risultati confermano precedenti studi di minore durata, aggiunge, e "sono importanti per via dei potenziali benefici di questo alimento, fonte di proteine e micronutrienti che fanno bene a occhi, cuore e vasi sanguigni". "Lo studio è particolarmente interessante per popolazioni nordeuropee abituate a un ampio consumo di uova a colazione", chiarisce Maria Ida Maiorino, ricercatore presso la UOC di Endocrinologia dell'Università degli Studi della Campania "Luigi Vanvitelli". "I risultati sembrano in apparente disaccordo con studi epidemiologici che mostrano una associazione lineare fra il rischio di malattie cardiovascolari ed il consumo di uova nei pazienti con diabete tipo 2".
Da sottolineare, però, prosegue l'esperta della Società Italiana di Diabetologia (Sid), "che ai pazienti inclusi nello studio veniva consigliato di consumare le uova bollite o in camicia, o anche fritte purché in olio extra-vergine di oliva. Strategie che di sicuro rendevano il regime alimentare più salutare".
FONTE: ANSA.it - 15 Maggio 2018
L' ipoglicemia è definita da una glicemia inferiore a 55 mg/dl ma disturbi possono essere percepiti anche con valori più alti (meno di 70 mg/dl) o del tutto normali se c'è stato un rapido calo della glicemia. Essa è tanto più frequente quanto più il paziente è trattato in maniera intensiva, ciò ha obiettivi glicemici vicini alla normalità. L'ipoglicemia è frequente soprattutto nei soggetti trattati con insulina (sia tipo 1 che tipo 2) ma può realizzarsi anche in quelli che assumono farmaci orali che stimolano la secrezione insulinica, in particolare le sulfoniluree e, fra queste, quelle a più lunga durata d'azione (clorpropamide, glibenclamide).
L' ipoglicemia determina un notevole malessere al paziente e, in alcuni casi, richiede l'assistenza di altri e talora l'ospedalizzazione. Una severa ipoglicemia, nel soggetto fragile e con altre malattie, può risultare fatale. Da qui la necessità di addestrare il paziente e i suoi familiari a riconoscere l' ipoglicemia e a correggerla prontamente.
Per una corretta gestione dell' ipoglicemia è utile sapere quantosegue:
L' ipoglicemia si realizza più frequentemente durante o dopo attività fisica (anche solo una passeggiata, i lavori di casa o il giardinaggio), soprattutto se si ha mangiato meno del solito.
I sintomi (disturbi) dell' ipoglicemia sono: sudorazione, tremore, senso di freddo o brividi, senso di fame, batticuore, ansia, irritabilità , confusione mentale, difficoltà a parlare, vista annebbiata, capogiro o mal di testa. Se non si interviene alla svelta, in alcuni casi più esserci perdita di coscienza (svenimento).
Nel sospetto (quando non si può misurare con il glucometro) o nella certezza dell' ipoglicemia bisogna agire subito prendendo 15 g di zuccheri semplici, ad esempio uno fra i seguenti:
Dopo circa 15 minuti mangiare circa 50 g di pane oppure un pacchetto di cracker oppure un frutto. Dopo 30-45 minuti se possibile controllare con il glucometro se il problema si è risolto. In caso contrario, mangiare altri 50 g di pane o cracker o un frutto e ripetere il controllo col glucometro dopo altri 30-45 minuti.
Quando si esce di casa bisogna avere sempre con sè qualche caramella e un pacchetto di cracker.
Se si è alla guida e si sentono disturbi compatibili con ipoglicemia, bisogna fermarsi subito e agire.
I parenti del paziente devono sapere cosa fare per risolvere un' ipoglicemia (vedi sopra per il trattamento).
FONTE: - SID Società Italiana di Diabetologia
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Il diabete è una condizione che influisce sulla nostra vita di tutti i giorni 1 al momento che per la sua gestione ci impone, oltre che l’assunzione quotidiana di farmaci sotto prescrizione medica, il dover adottare un modello di vita assolutamente salutare, basato sull’attività fisica, su una corretta alimentazione e la lotta allo stress.
Innanzitutto la pratica dello sport, in particolare di tipo aerobico come per esempio il nuoto, la corsa o il tennis, aiuta il nostro organismo nei suoi meccanismi di autoregolazione. Anche se talvolta non è possibile impegnarci in vere e proprie attività sportive, è fondamentale effettuare lo stesso un’adeguata attività fisica, come può essere anche semplicemente una camminata, praticata quotidianamente 1.
Ma certamente, per una corretta gestione un ruolo primario è rivestito dall’alimentazione, che deve essere adatta per la nostra condizione 2.
Una corretta alimentazione, tuttavia, non comporta necessariamente una dieta ferrea; anzi vedremo insieme come, con accortezza e intelligenza, possiamo comunque soddisfare i nostri soliti gusti.
La frutta deve essere assunta con regolarità, anche lontano dai pasti se possibile.
Un consiglio importante è di alternare i diversi tipi di frutta, scegliendo sempre quella di stagione, al fine di poter ottenere il massimo del risultato sia in fatto di nutrienti che di gusto.
Sappiamo già che con il diabete si ha un aumento dei livelli di zucchero nel sangue, quindi è necessario che la nostra alimentazione si focalizzi sul tenere sotto stretto controllo l’assunzione di zuccheri, in ogni loro forma: con il diabete mellito 1 nel nostro organismo, al tempo stesso, si accresce la dipendenza dall’insulina, che il pancreas non è in grado di produrre e che va introdotta nel circolo sanguigno, mentre nel mellito 2 o nel gestazionale i tessuti del nostro corpo non riescono più a rispondere all’azione dell’insulina 1.
Ti starai domandando quale frutta troviamo a nostra disposizione nei vari periodi dell’anno? Ogni stagione offre diverse varietà per gusto e colore, che puoi scoprire con noi.
Il carrello della nostra spesa quotidiana potrà, quindi, riempirsi con meravigliosa frutta in un tripudio di colori, dal rosso al giallo, all’arancio, al verde.
Sarà opportuno tuttavia prestare attenzione alla quantità e alla frequenza nella consumazione.
Per questo motivo è bene aver presente le proprietà dei diversi frutti al fine di non lasciar prevalere la gola.
Regine dell’estate che ci allietano con il loro colore rosso e il loro inconfondibile profumo, contengono soltanto 5 grammi di zuccheri per 100 grammi di prodotto 3.
Le proprietà della fragola sono ottime, perché supportano il miglioramento della sensibilità dell’organismo all’insulina, depurano fegato e intestino e sono un ottimo rimedio per problemi come la gastrite, oltre che un valido antiossidante contro l’invecchiamento cellulare 4.
Attenzione però: l’abuso o il consumo di grandi quantità possono favorire la formazione di calcoli renali o biliari.
Portatori dei colori dell’arancio e del giallo, gli agrumi sono i “reali” della tavola del diabetico, specialmente per chi ha il tipo Mellito 2.
Rappresentano uno dei più validi supporti contro l’obesità, la gotta e l’ipertensione.
Questi agrumi, facenti parti del genere Citrus, sono fonti naturali di acidi organici, ma possiedono molte altre proprietà nutrizionali, grazie al contenuto di vitamine e sostanze antiossidanti 4.
Le Arance possono essere un’ottima soluzione per lo spuntino di metà mattina e per la merenda, grazie al loro buon carico di vitamina C.
Sono i nostri amici nel frigorifero! Dal bel colore blu, hanno un basso contenuto di zuccheri esattamente come le fragole, di cui abbiamo parlato prima. Il loro consumo regolare, così come l’assunzione del loro succo, supporta la regolazione dei livelli di zucchero nel sangue, fornendo allo stesso tempo un valido contributo al sistema cardiovascolare.
Contiene circa 4 grammi di zuccheri per 100 grammi di prodotto (in media 3,7 grammi) 3, una minima quantità che anche chi ha il diabete può assumere. Tuttavia sarebbe bene non superare la quantità di 300 grammi la settimana, sempre lontano dai pasti e suddivisa in diverse porzioni in giorni diversi, al fine di non gravare troppo sull’organismo nella gestione degli zuccheri in ingresso 4.
Rappresenta un buon aiuto per regolare il metabolismo dell’insulina, ormone che riduce i picchi di glucosio nel sangue.
Il suo contenuto di zuccheri corrisponde a 7,4 grammi su 100 grammi di prodotto 3, per cui deve essere assunto con moderazione. E’ portatore generoso di potassio, vitamine e in generale di sali minerali. Ha anche un ottimo effetto sullo stress ossidativo.
Contengono antociani, che sono tra i più importanti gruppi di pigmenti presenti nei vegetali, noti anche per la loro capacità di ridurre la glicemia, aumentando in alcuni casi la produzione di insulina anche del 50%. Oltre che nel diabete, sono utili nella prevenzione di molte altre condizioni, come i disturbi cardiovascolari.
Le ciliegie hanno un indice glicemico di 22, uno dei punteggi più bassi di qualsiasi frutto. Una mezza tazza di ciliegie fresche, essiccate, congelate o in scatola è da considerarsi “una buona porzione”.
Gli effetti nel trattamento del diabete sono stati studiati dai ricercatori del Father Muller Medical College in India.
La presenza di antociani, acido ellagico e tannini idrolizzabili, ne fanno un frutto benefico per le persone con il diabete.
Infatti, il frutto, le foglie e i semi del susino nero, se inseriti in una dieta equilibrata, possono essere di supporto nel controllo del livello di zucchero nel sangue 5 .
Anche in questo caso, una “buona porzione” è costituita da mezza tazza di prugne nere al giorno.
Anche se poco nota, la guava è un frutto esotico, ricco di vitamina C e potassio, e ha anche un’alta concentrazione di licopene, potente antiossidante, oltre che un’alta concentrazione di fibre alimentari.
Tutti questi nutrienti sono utili per la gestione dei livelli di zucchero nel sangue. Si può mangiare un frutto intero al giorno, tagliato a fette senza la buccia, o bere un piccolo bicchiere di succo di guava.
Le persone inclini a sviluppare il diabete possono trovare un alleato nella prevenzione bevendo tè alle foglie di guava una volta al giorno.
La coltivazione della guava viene effettuata anche all’interno del territorio italiano, in particolar modo in tutte quelle aree in cui si coltivano gli agrumi, come ad esempio la regione Sicilia.
Per questo frutto, alcuni studi hanno evidenziato una correlazione tra il suo consumo ed un miglior controllo dei livelli di zucchero nel sangue.
Contiene vitamina C, E e A, flavonoidi, potassio e elevate quantità di beta-carotene che proteggono dai radicali liberi e migliorano la salute generale.
Inoltre, il kiwi è ricco di fibre e povero di carboidrati: questo aiuta nella gestione della glicemia e a ridurre il colesterolo.
Il suo indice glicemico varia da 47 a 58. Mangiare un kiwi al giorno può aiutare, anche in questo caso, a controllare i livelli di glucosio nel sangue.
Spesso presenti nelle nostre tavole, sono ricche di fibre solubili, vitamina C e antiossidanti.
Inoltre, le mele contengono pectina che contribuisce all’eliminazione di scorie nocive per il nostro organismo e sembrerebbero in grado di ridurre il fabbisogno di insulina dei diabetici fino al 35%. Il loro indice glicemico è compreso tra 30 e 50.
Le mele aiutano anche a prevenire attacchi di cuore, ridurre il rischio di tumore e prevenire le malattie degli occhi, in particolar modo tra le persone con il diabete. Ti consigliamo il consumo di una mela piccola o media al giorno, se è il tuo frutto preferito.
Un altro frutto tropicale che, grazie al suo elevato contenuto di fibre e al suo contenuto di grassi monoinsaturi, aiuta a stabilizzare la glicemia 2.
Secondo prestigiose accademie di nutrizione e dietetica, i grassi monoinsaturi possono migliorare anche la salute del cuore. Questo è importante perché le persone con diabete possono avere un rischio più elevato di incorrere ictus e malattie cardiache.
Inoltre, l’avocado contiene una buona quantità di potassio, che aiuta nella prevenzione della neuropatia diabetica. È possibile includere l’avocado in insalate e panini o fare un condimento con la sua purea, un po’ di succo di limone, aglio ed olio d’oliva 2.
Sono ricche di fibre e vitamine A, B1, B2, C ed E che aiutano a ridurre il colesterolo, rafforzare il sistema immunitario e migliorare la salute dell’apparato digerente, oltre a regolare i livelli di zucchero nel sangue. Le pere sono frutti a ridotto contenuto di calorie e carboidrati e, difatti, hanno un indice glicemico di 38, considerato basso.
Le pere sono particolarmente benefiche per le persone che hanno il diabete di tipo 2 perché aiutano a migliorare la sensibilità all’insulina. Una pera piccola o media come dessert o come snack dolce è da considerarsi una buona porzione.
E’ ricco di fibra solubile e vitamina C ed ha un indice glicemico inferiore a 25. Contiene naringenina che aumenta la sensibilità del corpo all’insulina e aiuta anche a mantenere un peso normale.
Un mezzo pompelmo al giorno può aiutare a controllare il livello di zucchero nel sangue. Mangiare il frutto, invece di bere il succo, offre maggiori benefici poiché permette di assumere maggiori nutrienti.
Se hai letto l’articolo fin qui, ora saprai certamente che Fragole, Arance, Limoni, Mirtilli, Angurie, Meloni, Ciliegie, Prugne, Guava, Kiwi, Mele, Avocado, Pere e Pompelmi non dovrebbero pertanto mai mancare sulla nostra tavola!
FONTE: https://www.angolodeldiabetico.it
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I carboidrati sono sostanze nutritive fondamentali nella nostra alimentazione e costituiscono il mattone fondamentale della dieta mediterranea di cui dovresti fidarti senza tentennamenti. È importante scoprire cosa siano i carboidrati se vuoi riconoscerli ed evitarne un consumo eccessivo che potrebbe compromettere il tuo stato di salute.
Potrai leggere dove si trovano i carboidrati e quali alimenti, invece, ne sono privi o quasi. Ricorda, però, che non esistono generalizzazioni facili e che i carboidrati non sono un male da estirpare a ogni costo dalla tua alimentazione quotidiana, ma come per molte cose anche in questo caso è tutta una questione di equilibrio. Proprio per questo, il consiglio migliore che puoi ricevere per calibrare correttamente i carboidrati che assumi è quello di un medico dietologo che può guidarti attraverso una nutrizione sana e consapevole.
Indice
Il termine carboidrato deriva dal fatto che gli zuccheri sono costituiti da carbonio combinato con ossigeno e idrogeno nelle stesse proporzioni dell’acqua. Un primo chiarimento necessario, per evitare la confusione che spesso si fa con l’argomento, è sottolineare che carboidrati e zuccheri sono la stessa cosa e ogni grammo di questi fornisce circa 4 calorie al corpo umano.
Ogni giorno, probabilmente, assumi carboidrati di vari tipi come lo zucchero da tavola, gli zuccheri contenuti nel latte, quelli presenti nella frutta e quelli derivanti dalle sostanze amilacee, cioè pasta, pane e riso che contengono appunto amido. Tuttavia, non tutti i carboidrati sono uguali e vengono classificati in base alla struttura chimica in carboidrati semplici e carboidrati complessi.
I carboidrati sono divisi dalla biochimica in base al numero di monometri da cui sono formati. Tra i carboidrati semplici vi sono il glucosio, il fruttosio e il galattosio (definiti monosaccaridi); saccarosio, maltosio e lattosio (carboidrati disaccaridi). I carboidrati complessi sono quelli che contengono una maggiore tipologia di zuccheri diversi tra loro e sono: amido, cellulosa e glicogeno (carboidrati polisaccaridi). Dopo l’ingestione tutti questi zuccheri subiscono un processo di scomposizione che è più complesso per alcuni come l’amido e più semplice ad esempio per il saccarosio.
In buona sostanza:
I carboidrati rappresentano la principale fonte di energia per il nostro organismo e sono indispensabili per il corretto funzionamento del nostro sistema nervoso centrale che ne consuma ogni giorno circa 180 grammi. In altre parole, il carburante del nostro cervello è costituito solamente dai carboidrati. Inoltre, gli zuccheri sono fondamentali anche per il mantenimento del tessuto nervoso, dei globuli rossi e per il funzionamento di alcune cellule del surrene.
L’eccessiva presenza di zucchero nell’organismo determina accumuli di grasso nel fegato e nei muscoli e si può trasformare a lungo andare in patologie come obesità, diabete e coronaropatie perciò è necessario prestare attenzione al consumo di carboidrati in modo che l’equilibrio ottimale per il corpo sia sempre mantenuto costante.
Ricorda che i carboidrati non sono il nemico ed eliminarli dalla tua dieta può portare a conseguenze dannose per il tuo stato di salute. Al contrario, possono aiutarti a perdere peso, se è questo il tuo obiettivo, in quanto aiutano a migliorare l’assetto ormonale dell’organismo. In particolare, i carboidrati assunti in quantità corrette in base al tuo sesso, alla tua età, alla tua storia clinica e familiare e al tuo livello di attività fisica possono far rimanere attivi gli ormoni tiroidei e la leptina; inoltre, scongiurano il rischio di insulino-resistenza grazie a una maggiore sensibilità proprio dell’insulina.
Se decidi di affidarti a un professionista che valuti con attenzione il tuo regime alimentare e ti proponga una dieta anche eventualmente povera di carboidrati ricorda che solo un medico può prescrivere una dieta e non altre figure come il biologo nutrizionista. Il biologo, infatti, secondo una sentenza emessa dal tribunale di Roma [1], può solo suggerire profili nutrizionali finalizzati al miglioramento dello stato di salute e non una dieta come atto curativo, poiché questa rimane un’attribuzione esclusiva del medico.
Il dietista è un operatore delle professioni sanitarie che può elaborare le diete prescritte dal medico, verificandone gli effetti e adattandole alle abitudini alimentari del paziente e alle sue condizioni cliniche. Neppure il dietista quindi può prescriverti la dieta. Meglio rivolgersi al medico dietologo che ti assisterà nel rispetto delle competenze previste dal ministero della Salute in merito alla prescrizione delle diete.
I carboidrati semplici si trovano in un grande numero di alimenti che consumi quotidianamente ma mentre è facile riconoscere nella pasta e nel pane cibi che ne contengono, è più difficile immaginare il latte o la frutta come fonti di carboidrati. Ecco, dunque, un elenco dei principali alimenti contenenti zuccheri:
I carboidrati, come facilmente intuirai, non sono presenti nella tua alimentazione solo nelle forme naturali che hai appena letto nell’elenco sopra, ma possono anche essere presenti in forma artificiale. Questi ultimi rappresentano la forma più nociva di zuccheri che possiamo trovare in una vasta serie di alimenti come: biscotti, merendine, bibite in bottiglia zuccherate, cioccolato, gelati, patatine in busta, pizze e focacce confezionate, snack, caramelle.
Per evitare gli zuccheri aggiunti nel cibo confezionato, presta attenzione alle etichette ed evita gli alimenti con queste diciture:
Esistono alcuni alimenti che possono essere ottimi alleati di una dieta a basso consumo di carboidrati e ti consentono di ridurre la sensazione di gonfiore addominale e di perdere peso in modo salutare. I carboidrati non aiutano il senso di sazietà e un’alimentazione che prediliga un minore uso di carboidrati potrà ridurre la sensazione spiacevole di vuoto allo stomaco. Non devi comunque eliminare i carboidrati dal tuo nutrimento, ma sarebbe ideale riuscire a consumarne circa 80 grammi nell’arco della giornata.
Ecco un elenco dei principali cibi a basso contenuto di carboidrati:
FONTE:La Legge Per Tutti
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Diabete ed estate
Il diabete in estate o nei Paesi caldi – le 10 regole per evitare problemi
FONTE: - SID Società Italiana di Diabetologia
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